“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
Il presidente Tupini (Democrazia Cristiana), in data 3/12/46 propose all’esame della I° sottocommissione della Costituente il testo presentato da Dossetti (Democrazia Cristiana), il cui dibattito che ne seguì, portò l’art. 11 della Costituzione alla formulazione che conosciamo.
La proposta di Dossetti, comprendeva anche la parte relativa alle condizioni –“di reciprocità”- che potevano consentire “le limitazioni di sovranità necessarie all’organizzazione ed alla difesa della pace”.
Naturalmente tutti i grandi del tempo intervennero nel dibattito fornendo contributi di mirabile livello anche di diritto internazionale. Si toccarono anche le vette dell’etica e della morale, quando l’on.le Li Causi (Partito Comunista Italiano) pose una drammatica quanto terribile domanda “La guerra fascista e la guerra di liberazione: quale è giusta e quale è ingiusta?”.
Li Causi intervenne interrompendo l’on.le Perez Russo (L’Uomo Qualunque) il quale proponeva di “rinunciare a questo articolo perché giuste sono le guerre vinte mentre quelle perdute sono ingiuste”.(seduta pomeridiana 14/3/47).
L’idea della guerra imperialista e finalizzata all’occupazione e invasione di altre nazioni, privando le libertà dei popoli attaccati e vinti, e che valutava l’onore e la gloria sulla base dei milioni di morti che produceva, serpeggiava anche tra i Costituenti.
Nella stessa seduta l’on.le Damiani (Gruppo Misto) pensava ai compiti della scuola che dovrebbe “educare gli uomini alla concordia facendo nascere e fiorire nel loro animo l’odio per qualsiasi forma di sopraffazione. (Mentre) nelle scuole militari tedesche vi era prima di ogni altra cosa la cultura militare e si insegnava trovare tutti i mezzi per distruggere il nemico, per conquistare sempre nuovi territori”. Il fascismo non fu da meno: le adunate settimanali, il saggio ginnico nelle scuole, e poi le “leggi fascistissime”, tutto concorreva alla creazione dell’”uomo nuovo”.
L’art. 11 della Costituzione invece è lì e rappresenta il nuovo codice etico della Italia nata dalla Resistenza e la relazione del Presidente della Commissione Meuccio Ruini (Gruppo Misto) che accompagna il Progetto di Costituzione della Repubblica Italiana infuse in quell’articolo la ratio ispiratrice: “Rinnegando recisamente la sciagurata parentesi fascista l’Italia rinuncia alla guerra come strumento di conquista e di offesa alla libertà degli altri popoli. Stato indipendente e libero, l’Italia non consente in linea di principio, altre limitazioni alla sua sovranità, ma si dichiara pronta in condizioni reciprocità e di eguaglianza a quelle necessarie per organizzare la solidarietà e la giusta pace tra i popoli. Contro ogni minaccia di rinascente nazionalismo, la nostra costituzione si riallaccia a ciò che rappresenta non soltanto le più pure tradizioni ma anche lo storico e concreto interesse dell’Italia: il rispetto dei valori internazionali……”
L’on.le Tupini ribadì: “E Dio voglia che questa non sia soltanto una generosa utopia del nostro popolo, ma una aspirazione comune a tutta l’umanità, dopo la tremenda lezione dell’ultimo conflitto. Pace tra i popoli ma anche pace tra il popolo italiano”.
Gli apologeti della guerra, i sovranisti dell’ultima ora, dovrebbero andare a rileggersi questi passi del dibattito nella Costituente e forse cambierebbero idea.
Per fortuna, a volte, il dibattito parlamentare, anche recente, registra passaggi interessanti ed in linea con questi valori scolpiti nella Costituzione. Magari non hanno lo stesso spessore culturale e politico, ma sempre significativi risultano.
Accade che nel Comune di Affile che voleva mettere un busto commemorando il Generale Rodolfo Graziani, e volendo “prevenire il ripetersi di (analoghe) iniziative nella XVII legislatura (2013 / 2018) furono presentate alla Camera due proposte di legge di modifica della legge n. 1188/1927 “, una di queste proposte risulta “d’iniziativa dei deputati Boccadutri, Matarrelli e Stumpo del 16 maggio 2013 con la quale si introduceva il divieto di intitolare sia strade o piazze, sia monumenti, lapidi o ricordi permanenti situati in luogo pubblico o aperto al pubblico a esponenti del disciolto partito fascista o ad appartenenti alle Forze Armate durante la dittatura fascista…”. (Antifascismo Quotidiano a cura di Carlo Smuraglia ed. Bordeaux).
Può darsi che a qualcuno la memoria avesse fatto difetto, ma poi si è ravveduto.

L’Amministrazione comunale di Mesagne ha deciso di collocare il busto del generale Giovanni Messe, ultimo maresciallo d’Italia, nell’aiuola di piazza dei Commestibili. La decisione di giunta sarà ratificata dal Consiglio comunale che si svolgerà giovedì 22 ottobre presso Palazzo dei Celestini, sede della municipalità mesagnese. Una decisione che, secondo l’Anpi, mal si coniuga con il deliberato di qualche mese fa in cui a Liliana Segre, ebrea deportata nei campi di concentramento nazisti, è stata assegnata la cittadinanza mesagnese. La contrarietà alla posa del busto di Messe nasce dal fatto che egli è stato un ufficiale comandante prima al servizio del re e poi di Benito Mussolini. Un dibattito che va avanti da decenni tra coloro che vogliono mettere alla gogna il generale e coloro che vogliono riabilitare tale figura di soldato a servizio della Patria, al di la di chi fosse al governo. Così, la decisione dell’Amministrazione comunale di ridiscutere di tale argomento ha fatto esplodere la protesta. In primis da parte dell’Anpi di Mesagne che si è schierata contro tale decisione.  “La scelta di inserire tale punto all’ordine del giorno del prossimo Consiglio comunale offende la storia democratica e pacifista della nostra città”, è l’incipit di una nota diffusa ieri mattina dall’Associazione nazionale dei partigiani italiani - offende tutti coloro che hanno ridato, anche con il sacrificio della propria vita, al nostro Paese la libertà, la democrazia contro ogni forma di tirannia e assolutismo; offende tutti quei giovani che credono fermamente nell’importanza della legalità, della forma Repubblicana dello Stato e di tutti i principi costituzionali”.

Per tutte queste ragioni l’Anpi di Mesagne ha chiesto al Presidente del Consiglio comunale, Omar Ture, al sindaco, Toni Matarrelli, ed a tutti componenti del Consiglio, della Giunta e della maggioranza di decidere da che parte stare: dalla parte di Liliana Segre e della Costituzione o da quella del Generale Messe?”. Intanto, in città si fa strada la proposta di chiedere il ritiro di tale ordine del giorno e di archiviare definitivamente il “Caso Messe”. “Mentre solo pochi mesi fa il Consiglio comunale di Mesagne conferiva la cittadinanza onoraria proprio alla senatrice Liliana Segre, quale simbolo e testimonianza di tutti coloro che sopravvissero alle barbarie nazi-fasciste; mentre Mesagne è riuscita, in meno di un anno, a ricostituire una sede locale dell’Anpi, riunendo oltre 100 consociati che nei valori e nei principi della pace, della libertà, della democrazia e dell'antifascismo si riconoscono; mentre a livello mondiale, nazionale e locale aumenta il bisogno di far conoscere anche ai più giovani i sacrifici umani di coloro che sono morti per la libertà, il presidente del Consiglio comunale, Omar Ture, convoca il sindaco ed i consiglieri per la seduta del 22 ottobre 2020, inserendo all’ordine del giorno anche il punto: “Giornata commemorativa in onore del maresciallo d’Italia Giovanni Messe e individuazione sito per la collocazione del busto", è scritto nella nota dell’Anpi. Tuttavia, il “caso Messe” ha creato una frattura anche tra gli storici poiché ci sono coloro che vogliono recuperare la figura del generale e coloro che lo vogliono continuare a studiare senza, al momento, nessun riconoscimento pubblico.

 

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