Codice Rosso. Cos’è e perché questo nome ad una legge dello Stato?

Massimo avv. Murra Maggio 25, 2021 1950

Con le norme che compongono il cosiddetto Codice Rosso il Parlamento ha voluto porre un freno a fenomeni dilaganti, indegni per una società che si reputi civile. Oltre ad avere inasprito le pene per reati già esistenti e ad averne previsti ex novo altri, ha  accompagnato il tutto da meccanismi processuali che portano la macchina della giustizia ad offrire una corsia preferenziale alla repressione delle condotte più spregevoli. Da qui il termine “Codice Rosso”, mutuato dalla categoria delle emergenze mediche.

Significa cioè che la denuncia di reati che attengono alla sfera delle libertà individuali in materia di relazioni umane o che investono la sfera della sessualità e dei rapporti sentimentali, seguirà un iter particolarmente accelerato. La legge penale è l’arma più forte per invertire determinati fenomeni sociali. Storicamente si ricorre a questo strumento per modificare, sotto certi aspetti con la forza, ciò che non si riesce a rimuovere con la presa di coscienza. Nonostante dai primi del 900 le società occidentali abbiano iniziato il lungo cammino verso ogni forma di parità di genere, di relazione umana e sociale, ad oggi resistono sacche di avversione verso tutto ciò. Il Codice Rosso è la risposta del legislatore per eliminare ogni zona d’ombra sul tema della libertà nelle relazioni umane. 

Ciò detto, è importante ricordare che si intendono ricomprese nel concetto di  legge penale tutte le disposizioni che  individuano condotte vietate, sotto comminatoria di una sanzione che incide, generalmente ma non esclusivamente, sulla libertà personale,  come la reclusione e l’ arresto, anche associate a pene pecuniarie. Di questa sintetica premessa, ciò che preme indicare è innanzitutto il meccanismo attraverso cui opera la legge penale: l’individuazione di comportamenti vietati e la punizione detentiva per chi li realizzi. È evidente che destinatario di tutte le norme penalistiche è l’agire umano, per cui la ricaduta in termini di convivenza civile, sarà in qualche modo imposta, cioè senza la mediazione del volere dei singoli. Un qualcosa non si può fare, a prescindere dalla sensibilità individuale, dal credo, dalla tradizione etnica o qualsivoglia altra ragione di natura culturale, perché in caso contrario lo Stato eserciterà la sua potestà punitiva.

Con la legge del 19 luglio 2019 n. 69 l’Italia si è dotata di uno strumento normativo a protezione di coloro i quali subiscono quelle forme di violenza che si traducono in un potere di ricatto morale o in bieche vendette che, pur non essendo fisiche, producono danni irreparabili per la esistenza delle persone. La legge è necessariamente neutra, cioè  destinata a proteggere sia le donne che gli uomini;  nascendo dalla esigenza di inibire e, se necessario, punire la sopraffazione, ma va da sé che essa sia rivolta principalmente al genere femminile, statisticamente più colpito da tali comportamenti.

Le cronache degli ultimi anni ci hanno fatto comprendere come gli atti più estremi si siano consumati secondo una progressione temporale che, complice la lungaggine delle procedure di indagine, avrebbero potuto essere evitati se sin dall’inizio, polizia giudiziaria e magistratura, avessero dovuto occuparsi in tempi rapidi e potendo disporre di strumenti cautelari, cioè presi sulla base del solo fumus del reato, senza attendere l’esito dei processi. Per questo oggi la legge permette al Giudice delle Indagini Preliminari di emettere un provvedimento che vieta al presunto responsabile di atti persecutori, di avvicinarsi alla parte denunciante, prevedendo un aggravamento della misura, fino al carcere, in caso di trasgressione e una specifica ipotesi di reato. Superfluo dire che si tratta di una innovazione che ha posto, in qualche misura, rimedio agli atti persecutori, comunemente conosciuti come stalking  e già previsti come reato dall’articolo 612 bis del Codice penale.  La storia degli ultimi anni ci ha insegnato  che fatti di sangue ricadenti nell’ambito sentimentale erano spesso stati  preceduti da denunce di minacce e persecuzione di vario genere. Richieste di aiuto rimaste inascoltate perché i relativi fascicoli erano finiti nelle pieghe di una giustizia che li aveva dovuti trattare alla stregua di altri procedimenti.

In termini pratici e volendo evitare i tecnicismi quali le novità.

Inasprimento delle pene per reati già  esistenti quali:

  • maltrattamenti contro familiari e conviventi (art.572 Codice penale). Per questo reato l’intervento è stato più che radicale con la previsione di aggravanti specifiche nella ipotesi di reato commesso in presenza o in danno di minori degli anni 14, donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità o l’uso di armi. Ma una delle novità che potrebbe risultare più incisiva in termini di repressione e prevenzione di ulteriori aggravamenti è l’inserimento delle condotte di maltrattamenti tra quelle i cui semplici indizi consentono l’applicazione delle misure di prevenzione. Chi conosce questo strumento, nato per reprimere i fenomeni delinquenziali più pericolosi, comprende la portata dell’innovazione.
  • Atti persecutori (art. 612 bis Codice penale)
  • Violenza sessuale e atti sessuali a danno di minori ( 609 - bis e 609-quater Codice penale)
  • Omicidio con la previsione dell’aggravante delle relazioni personali.

Previsione di nuove figure di reato:

  • Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso ( art. 583-quinques Codice penale)
  • Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti ( art 612-ter Codice penale)
  • Costrizione o induzione al matrimonio (art. 558-bis Codice penale)
  • Violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento (art. 387-bis Codice penale)

Anche l’articolo 165 del Codice penale, riguardante la sospensione condizionale della pena, ha subito una modifica con la previsione che la sospensione condizionale delle condanne per i delitti di violenza domestica e di genere sia subordinata alla partecipazione di percorsi psicoterapeutici per il recupero. In mancanza anche gli incensurati dovranno scontare la pena.

Dalla prospettiva degli operatori del diritto, come avvocati e magistrati, quale è il giudizio che si sente di esprimere

Io vedo una decisa sferzata, giuridica e marcatamente culturale. Per intenderci, con un paio di esempi, non si potrà più scambiare la gelosia con il diritto di opprimere il partner. Non c’è dubbio che non ci sia più spazio per ritenere le vittime delle vendette sessuali meno degne di tutela. Il divieto, cioè quello che non si deve fare, è talmente specifico che è difficile non riconoscergli una forza deterrente.  Non c’è dubbio che sapere che esiste una tutela forte, consente di far venire alla luce quel sommerso di sopraffazioni da cui prima si cercava di sfuggire con veri e propri sacrifici del proprio vivere quotidiano.

Questo però ha come rovescio della medaglia una particolare difficoltà per tutti gli operatori del diritto. Stabilire il limite dentro cui il comportamento si può ritenere normale e intangibile dalla legge, con quello invece vietato. Il pensiero più immediato è dato dalla domanda di quale sia la differenza tra un pressante, ma lecito, corteggiamento, con gli atti persecutori. O quanto sia difficile non permettere di manipolare la norma, con false denunce di presunte violenze domestiche per trarne vantaggio nei giudizi di separazione. La legge, infatti, ha previsto che alcuni atti del procedimento penale siano trasmessi d’ufficio e senza ritardo al Giudice civile  della separazione, dell’affidamento dei figli o in materia di potestà genitoriale,  che, conseguentemente, ne potrà tenere conto nel decidere la causa. Chiunque abbia avuto a che fare con questo genere di dispute sa perfettamente che il livello di litigiosità fa cadere ogni remora morale tra i contendenti, senza distinzioni di età, sesso o scolarizzazione.

La Corte di Cassazione, nella sua funzione nomofilattica, cioè di guida nella uniformità interpretativa della legge, ha prodotto innumerevoli decisioni volte a definire in che termini i Giudici di merito debbano valutare le dichiarazioni  della parte offesa nei reati di violenza sessuale che, ordinariamente, si consumano senza testimoni terzi. Da quelle decisioni è facile cogliere le difficoltà di chi è tenuto a ponderare la credibilità della parte offesa, con la sacrosanta necessità di punire i colpevoli. Se si lega questa connaturale difficoltà con la rabbia che spesso connota le vicende di una separazione, si comprenderà come il rischio della strumentalizzazione di queste norme di civiltà sia dietro l’angolo. A tutti i protagonisti professionali, magistrati, avvocati e consulenti, è  richiesto un grande sforzo in termini di equilibrio.

Spesso di sente parlare di Revenge porn  cosa è oggi previsto sul punto.

Chiariamo innanzitutto che il termine Revenge porn non lo si rinverrà in nessun testo normativo. È il termine inglese che significa vendetta sessuale. Come ho detto prima , è stato introdotto  il reato di “ illecita diffusione di immagini o video sessualmente espliciti”. Anche qui per comprendere di cosa si tratti soccorre la conoscenza di episodi di cronaca che hanno avuto un forte rilievo mediatico, soprattutto perché hanno prodotto  effetti devastanti nelle vittime, nella gran parte dei casi  donne, arrivate anche al suicidio.

Le vicende sono note: coppie che liberamente consenzienti hanno immortalato l’intimità del rapporto in foto o video ma che, una volta cessata la relazione, sono divenuti strumento di vendetta nelle mani dell’uomo. La distorsione culturale che nessuna legge potrà cambiare, che vuole la donna colpevole non si sa di cosa, ha fatto il resto. Così, a divenire oggetto delle più morbose curiosità ( nella migliore delle ipotesi) e dei più ripugnanti giudizi,  diventa la malcapitata di turno anziché  il traditore di quel patto morale  che ogni coppia stipula nel concedere il proprio corpo.

Immagini e video che scandalosamente sono diventati virali, devastando psicologicamente le vittime. Sebbene il sostrato culturale di cui si nutrono queste tragiche vicende,  ritengo non sia debellabile con la legge, questa quantomeno ne può arginare il fenomeno, cresciuto in modo esponenziale quale conseguenza  dall’era digitale in cui viviamo. L’articolo 612 ter del Codice penale punisce chi diffonde, in qualsiasi modo, immagini o video sessualmente espliciti, sia che li abbia personalmente realizzati, o sottratti, sia che li abbia soltanto ricevuti. Elementi essenziali dell’illecito sono il contenuto esplicito e la diffusione senza in consenso dei protagonisti di foto e video.

Le pene sono da uno a sei anni che aumentano se si tratta di materiale acquisito nell’ambito di rapporti matrimoniali o similari, ovvero se la diffusione avvenga con strumenti digitali. Vale a dire in tutti quei casi in cui il rapporto fiduciario che ha permesso di realizzarli, sia particolarmente stabile e nell’ipotesi in cui la diffusione sia fatta con strumenti che rendono esponenziale la trasmissione. L’aumento della pena è ancor più grave se la vittima è soggetto in stato di inferiorità fisica o psichica o  donna in stato di gravidanza. Quello che spesso molti ignorano è che il reato lo commette anche chi, ricevendo immagini o video, pur non avendo concorso a realizzarli o sottrarli, li diffonda a sua volta. Per non essere tratti in inganno dal termine inglese di Revenge porn, è opportuno chiarire che per incorrere nella violazione non è per nulla necessario che chi diffonde sia animato da spirito di vendetta. La norma punisce la semplice trasmissione a terzi, tanto è vero che viene punito anche chi non abbia alcuna conoscenza dei protagonisti. Credo che la gravità delle pene previste, sia, condivisibilmente, giustificata dalla riprovazione che provoca una simile condotta, in uno con i danni imponderabili sulle vittime.

Quanto questa legge ritiene sia efficace

Come accennavo prima i codici di comportamento mutano mediante l’azione su più fronti. Il rispetto dell’altrui libertà e dignità è qualcosa che non può non appartenere ai modelli educativi forniti dalle aggregazioni sociali in cui ci formiamo. La famiglia, la scuola e tutte le realtà dentro cui ognuno di noi cresce e apprende come si debba stare al mondo. La legge determina i limiti imposti con la punizione. Il bene tutelato è di importanza vitale da non consentire troppi distinguo sulle cause per cui un uomo, ad esempio, veda la donna e gli altri in generale, come oggetto di possesso. Non potrà più valere alcuna giustificazione per obbligare una donna al matrimonio, solo perché questo appartiene alla tradizione in cui i soggetti sono cresciuti.

Il diritto moderno ha al centro della sua azione l’uomo nella sua globalità. Il modello culturale che la legge vuole non potrà essere derogabile. L’indirizzo è chiaro come non mai, nessuna zona franca è più consentita. Il  luogo di lavoro e lo strisciante ricatto legato al mantenimento dell’occupazione e quindi alla stessa sopravvivenza economica, non fanno eccezione.  La previsione di una difesa efficace permette sempre di indurre a non tacere più, come poteva avvenire con una legislazione blanda e generica

Qual è l’impatto umano di storie da Codice Rosso su un avvocato 

Il difensore penale quasi sempre entra con mani e piedi nelle vicende umane che incrocia per lavoro,  talvolta dalla parte della vittima e altre da quella del reo. Insieme a magistrati, forze  dell’ordine e assistenti sociali, siamo una sorta di raccoglitore di storie, dalla cui prospettiva non è difficile affermare che le mura domestiche, anziché essere il porto che ripara dalle intemperie della vita, può diventare   il  posto dove si consumano le esperienze più drammatiche. Se dovessi descrivere con una immagine quello che ho visto in trenta anni di professione, direi che, chiusa la porta, le persone più insospettabili trasformano la casa in un girone dantesco per coniuge e figli. Non credo di sbagliare se dico che l’articolo  572 del Codice penale, che prevede e punisce i maltrattamenti  contro familiari e conviventi, sia il  più ricorrente nelle aule di giustizia tra quelli trattati nel Codice Rosso. Intendiamoci, è una norma che l’ultima legge qui in commento ha solo modificato in termini di pene e meccanismi repressivi in generale, ma è sempre esistita.

Ci sono storie familiari in cui  figure coniugali e genitoriali, letteralmente deviate nei rapporti di famiglia, hanno tenuto in ostaggio per anni gli altri membri del nucleo. Nei processi le testimonianze di figli che raccontano violenze fisiche e psicologiche, danno proprio l’idea di come siano cresciuti in contesti in cui il concetto di normalità sia coinciso con la sopraffazione. Si badi che abuso di alcol e droghe non è per nulla la causa principale. Integerrimi fuori da casa e demoni nel rapporto familiare ne ho visti tanti. La legge forte dà coraggio a chi subisce. L’idea di poter contare sulla giustizia, per vedere riaffermata la propria libertà di scelta nei rapporti sentimentali e attinenti alla sfera sessuale, straccia quel velo di paura che induce a subire in silenzio. Di converso le reazioni di chi viene denunciato, sono fortemente sintomatiche della radice culturale da cui provengono certe condotte. Chi commette i reati ricompresi nel codice rosso, in molti casi si rende conto di ciò che ha fatto solo dinanzi alle conseguenze giudiziarie; ne rimane quasi sorpreso,  impiegando tempo a realizzare l’inaccettabilità del proprio comportamento.

Sembrerà strano ma più volte mi sono trovato con miei assistiti che avrebbero voluto convincermi della normalità di certi loro comportamenti. Per intenderci, una cosa è dire io queste cose non le ho fatte e allora il difensore ne fa una questione di prove, altra è dire che sia normale averle fatte e chiedere che questo giudizio sia condiviso da chi presta loro la difesa tecnica. Quando un soggetto abituato a delinquere si determina a commettere qualche azione illecita, sa bene cosa ne può derivare laddove sia chiamato a rendere conto alla giustizia. Al contrario, chi ha sottoposto a vere e proprie torture psicologiche coniuge e figli, chi perseguita,  chi ha ricevuto un video e lo diffonde allegramente, spesso neanche immagina la gravità del proprio gesto. Quello che colpisce non è tanto il fatto di non sapere le pene severe a cui si è esposto, quanto non avere tenuto conto dei danni che ha provocato alle vittime. La miseria umana e morale che ho sentito raccontare a figli ancora imberbi, nelle aule di giustizia, non nascondo che  mi abbiano spesso tolto il sonno. Auspico veramente che questa legge produca l’ inversione di tendenza  del nostro convivere civile.

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Ultima modifica il Martedì, 25 Maggio 2021 15:46