I “Dantis Alagherii De Monarchia Libri III”, curati dal Bertalot (Olschki) In evidenza

Angelo Sconosciuto Giugno 04, 2020 9897

dantis alagheriÈ libro estremamente interessante il «Dantis Alagherii De Monarchia Libri III» (cm 15 x 23, 112 pagine) che,

pubblicato a Ginevra (Gebennae) presso Leo S. Olschki (in aedibus Leonis S. Olschki) ed anche nelle stesse librerie di Firenze e Roma (prostat etiam Florentiae ac Romae apud eundem bibliopolam), nel 1920, è ancora in catalogo presso la stessa casa editrice al prezzo di 60 euro. È libro che ogni biblioteca dovrebbe custodire come fa la nostra biblioteca civica “Ugo Granafei” (collocazione VIII K 184), perché è un volume di assoluto valore, non solo e non tanto per l’autore e l’editore - valori assoluti nei loro ambiti -, quanto, e in particolar modo, per il curatore recensore: Ludovicus Bertalot, leggiamo in copertina. E Ludwig Bertalot - che per la stessa casa editrice e nello stesso anno vide anche pubblicare il «De vulgari eloquentia libri II» (che in verità risulta esaurito) - è un personaggio unico (esatto: “personaggio”) nella storia della filologia. In questa sede, dunque, davanti ad un libro che si vende ancora a cento anni dalla sua pubblicazione, non interessa tanto soffermarsi sulla circostanza che il “De Monarchia” fu opera bruciata in pubblico perché eretica per ordine del cardinale Bertrando del Poggetto, né ci interessa qui affrontare il tema delle tre possibili datazioni o magari osservare che i tre libri sono scritti in latino perché, come ci hanno insegnato: «trattando Dante un problema universale, si rivolge a un pubblico di potenti e di filosofi anche non italiani».

Magari in un secondo momento rifletteremo con Dante «che l’impero, o monarchia, è necessario a mantenere nel mondo la pace, la giustizia e la libertà; che l’assunzione dell’imperio universale – come scrisse Petronio – da parte dell’impero romano fu opera non solo della forza delle armi, ma anche e soprattutto della volontà divina; che l’imperatore non è soggetto al papa ma dipende direttamente da Dio, anche se le due guide dell’umanità devono procedere affiancate e concordi per dare all’uomo la pace e la beatitudine in cielo, anche se l’imperatore deve al papa omaggio filiale». No. Questa è l’occasione per riflettere sul recensore Bertalot, ricordato cinquant’anni addietro nell’Enciclopedia dantesca da una voce curata da W. Theodor Elvert che scrisse espressamente: «Agli studi danteschi il Bertalot diede un notevole contributo con l'edizione critica del “De vulgari Eloquentia” (1917, poi Ginevra 1920): edizione assai importante rispetto a quella del Rajna, del 1896, poiché utilizzava per la prima volta il codice Berlinese della “Monarchia” e del “De vulgari Eloquentia”, dal Bertalot descritto attentamente in "La Bibliofilia" XXIV [1922] 261 ss.)».

Ma significativa, su tutti gli studi e gli scritti sul filologo, fu la conferenza tenuta all’Istituto Storico Germanico di Roma il 6 ottobre 1998 da Hermann Goldbrunner che, in occasione del convegno «Nuovi approcci alla ricerca sull’umanesimo», parlò di «Ludwig Bertalot e gli Initia Humanistica Latina», riflettendo su come si fosse giunti «Dallo schedario privato al CD-ROM».

«È personaggio assai complesso, la cui importanza nel campo degli studi umanistici (…) sta per essere scoperta», disse Goldbrunner, ricordando che la sua “scoperta” non si deve alle “Carte Bertalot” identificate solo con «lo schedario degli Initia Humanistica Latina, il cosiddetto Incipitarium», quella raccolta di initia di testi umanistici che questo studioso aveva scoperto, letto, trascritto e studiato per anni.

Era ugonotto, Ludwig Bertalot; era nato a Francoforte nel 1884 ed a 24 anni si era laureato, avendo come «maestri Ludwig Traube, il padre della filologia medievale, Augist Wilmanns e Konrad Burdach, che erano tra i rappresentanti più in vista della filologia e storiografia tedesca del primo Novecento». Furono per lui anche maestri nel metodo che contraddistingue la sua tesi, «un campo piuttosto trascurato, cioè quello dell’umanesimo italiano e tedesco». Dopo la laurea «cominciarono i guai»: Bertalot balbettava gravemente e quindi non poté aspirare alla carriera universitaria e, volontario «con carattere difficile», finì presto per non fare carriera bibliotecaria, perché «non era disposto a rispettare certe norme fondamentali dell’amministrazione» di biblioteche.

Egli fu dunque costretto a fare ricerche su incarico di biblioteche ed istituzioni, case editrici e librai: furono anni di stenti, ma anche anni fecondi perché Bertalot si tuffò letteralmente nella ricca raccolta di manoscritti della Regia Biblioteca di Berlino che, in anni precedenti al primo conflitto mondiale, riusciva ad ottenere in prestito codici dall’estero: soprattutto dalla Svizzera, dall’Italia e dalla Russia.

E fu così che Bertalot venne anche a contatto, ad esempio, con l’Epistolario di Cola di Rienzo e la corrispondenza del Petrarca. Egli leggeva, trascriveva con metodo i testi, ma a lui «nessun accenno e tanto meno una parola di ringraziamento nella prefazione ai singoli volumi», annotò Goldbrunner, osservando che la circostanza «non deve meravigliare nessuno», perché «lavori del genere furono considerati dall’establishment accademico senz’altro lavori di manovalanza, che oltre al pagamento, non meritavano nessun ringraziamento».

In ogni caso, «la conoscenza intima e diretta dei manoscritti umanistici quasi sconosciuti o comunque difficilmente accessibili gli procurò la fama di “eminenza grigia” degli studi umanistici in Germania»; «fama che faceva tremare più di un accademico e professore della disciplina». Egli del resto intuì «che non era sufficiente studiare singoli codici, ma che aveva soprattutto bisogno di uno strumento che mettesse in grado di identificare in modo sicuro e rapido i singoli testi che gli capitavano nelle varie raccolte di manoscritti umanistici». Nacque così lo «schedario degli Initia Humanistica Latina, il cosiddetto Incipitarium», del quale abbiamo parlato innanzi, «strumento che egli custodiva gelosamente».

Bertalot visse a Roma dagli anni Venti del XX secolo al 1951: fu «scrittore aiutante presso la Biblioteca Apostolica Vaticana». Doveva fare un catalogo dei manoscritti vaticani latini, ma «come tanti altri illustri colleghi, egli non ha mai pubblicato una riga in proposito».

Da alcune circostanze riferite in quella conferenza, non è agevole intuire se all’animus studenti si sommasse un animus pugnandi contro le dittature. Si sa per certo che, quando nel 1938 l’ebreo Paul Oskar Kristeller «dovette lasciare il suo lettorato alla Scuola Normale Superiore di Pisa, Bertalot lo aiutò, assumendolo come suo assistente finché Kristeller poté emigrare in America». E Kristeller poi, non solo per questa circostanza, ma per tutto il clima creatosi attorno, «si dichiarò “discepolo” del Bertalot, rimasto senz’altro l’unico allievo che il complessato erudito abbia mai avuto». Bertalot, del resto, avversatore delle rendite accademiche e studioso senza cattedra, non ebbe le occasioni (forse nemmeno le cercò) di trasmettere la sua «stupenda capacità analitica e critica».

Egli si trattenne a Roma ben oltre la fine della Seconda guerra mondiale e fu generosamente aiutato sia dal cardinal Eugène Tisserant, sia da don Giuseppe De Luca, quel “prete romano” - come era solito definirsi - fondatore delle “Edizioni di Storia e Letteratura”, che avranno in seguito un legame indissolubile col Bertalot che, tornato in Germania nel 1951, morì in una casa di cura nel 1960.

Fu Kristeller, quindi, che diede alle stampe in due volumi tutto il pubblicato del Nostro, mentre il materiale raccolto e mai pubblicato (8 grandi scatole), le «Carte Bertalot», prima furono conservate presso l’Istituto di Sociologia dell’Università di Francoforte e, salvate dalla “rivolta studentesca del 1968”, furono consegnate all’Istituto Storico Germanico di Roma.

Sono carte davvero straordinarie per chi studia l’umanesimo italiano e tedesco, soprattutto il XV secolo. Quanto al citato Incipitarium, Bertalot «non aveva mai avuto idea di pubblicare le schede (…). Anzi, più di una volta egli minacciò di bruciarle».

Ma la storia di questo strumento di ricerca è ben lungi dal concludersi. «Durante l’ultima guerra mondiale concesse alle Edizioni di Storia e Letteratura, in cambio di vari aiuti ottenuti da mons. Giuseppe De Luca, il diritto di pubblicare non solo la raccolta dei suoi articoli e studi, ma anche quella degli Initia Umanistica Latina, le cui schede erano depositate presso la casa editrice. Nel 1952 – raccontò Goldebrummer – Bertalot firmò un contratto in tal senso stipulato con De Luca. Ma più tardi egli cambiò idea ed insistette che l’Incipitarium gli fosse spedito in Germania dove si era ritirato».

Chi lo conosceva e stimava tirò le possibili nefaste conseguenze di tale restituzione e, anche se la follia non fece il suo corso, «un gruppo di amici di Bertalot aveva già tempestivamente provveduto alla conservazione dell’opera, facendo copiare le schede su microfilm prima che esse fossero inviate in Germania da dove non ritornarono se non dopo la morte dell’autore». E solo nel 1974, grazie ad accordi di studiosi con le Edizioni di Storia e Letteratura, si è iniziato a preparare quell’Incipitarium che ricercatori contemporanei hanno fatto sì che fosse utilizzato con maggior successo da quanti intendono studiare con metodo l’Umanesimo ed il Quattrocento, in particolare.

Di Bertalot restano invece, complete e pubblicate, le “recensiones” al De vulgari eloquentia e al De Monarchia”. A sfogliare le pagine della copia conservata a Mesagne, pensando all’opera di quell’uomo che ne curò l’edizione vien da pensare che, oltre ogni egoistica riflessione, anche caratteri difficili e spigolosi sono capaci di fare doni eccezionali che, sommati all’acume dell’autore ed all’abilità e sensibilità dell’editore, rendono un testo davvero prezioso, perché affrontato nei suoi più nascosti aspetti e problemi: insomma, un libro per sempre.