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"Il richiamo", di Maria Teresa Infante

Marcello prof. Ignone Giugno 16, 2022 3665
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Ho prima scoperto Il richiamo (L’Oceano nell’Anima Edizioni, 2017), il romanzo di Maria Teresa Infante e, successivamente, in occasione della XVIII edizione del Premio Letterario Nazionale “Città di Mesagne” ho avuto il piacere di conoscere anche l’autrice, dal momento che il suo romanzo è risultato vincitore nella XVIII edizione (2021) del Premio Letterario Nazionale “Città di Mesagne” tra le opere di narrativa edite.

INFANTE_MARIA_TERESA.jpgMaria Teresa Infante nasce a San Severo (FG) nel 1961; ha pubblicato cinque sillogi poetiche: Quando parlerai di me (2012), C’è sempre una ragione (2014), Itinere (2016), Il Viaggio (2016), Oblaci i tišina (Nuvole e silenzio) (2017). È ideatrice e curatrice della trilogia poetica e letteraria Ciò che Caino non sa, antologia nata per sensibilizzare contro la violenza di genere, del volume Alexandrae (voci di donne) e dell’antologia Le mani dei bambini, per promuovere i diritti dell’infanzia; è attiva a livello culturale e sociale e partecipa, come abbiamo visto con successo, a numerosi concorsi di narrativa, poesia e giornalismo.

Il frontespizio del romanzo recita: “Il richiamo. L’appartenenza. Liberamente ispirato a storie di paese”, è un ritorno non facile alle radici del Sud natio, quello del Tavoliere foggiano, dell’Alta Duania, al legame del protagonista, Peppino, con la terra degli avi, la terra natìa, il passato e i luoghi presenti nella sua memoria e mai dimenticati come gli affetti familiari.

Il romanzo si legge tutto d’un fiato grazie alla sua prosa fluida ed accattivante, a tratti profondamente intrisa di espressioni poetiche, più evidenti nelle descrizioni delle radici, luoghi o tradizioni che siano. La storia antropologica dei diversi personaggi colpisce, oltre che nei rapporti interpersonali e sociali, in particolar modo per la frustrazione dovuta all’abbandono dell’amara terra natìa; ma le radici, pur amare e talvolta maledette, sono profonde e tenaci ed il “richiamo” della terra, delle tradizioni e delle atmosfere del profondo Sud è forte e indelebile, come forte e sensibile, a tratti delicata come il pennello di un pittore impressionista, è la narrazione di Maria Teresa Infante. I personaggi sono figli di una terra amara quanto amata: amara verso i figli più sfortunati che sono obbligati a lasciarla, e amata con profonda malinconia e dolore ancestrale perché parte indissolubile dell’anima. Il Nord dà da mangiare al fisico ma non nutre l’anima di chi è sradicato e, per non essere emarginato, ostinamente cerca di mantenere vitali almeno le proprie radici. La scrittrice, però, non si lascia mai sopraffare dal facile sentimentalismo, non consola con particolare riguardo alcun personaggio, anche se le situazioni, a volte dure e dolorose, della vita al Sud come talvolta al Nord, lo meriterebbero. La realtà viva, nuda e cruda, è sempre ben presente nella trama, nei diversi accadimenti del romanzo; se si chiede riscatto, prima ancora che comprensione, per un “popolo di formiche”, per una terra abbandonata dal potere politico, la strada maestra non può che essere la storia autentica. Piangersi addosso, come scrive l’autrice di Maria, uno dei personaggi del romanzo, non serve a nulla, ammesso che la gente del Sud abbia ancora lacrime per piangere.

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Ultima modifica il Giovedì, 16 Giugno 2022 05:50