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Ulivo, brušcatura e poesia

Marcello Ignone Novembre 12, 2020 2725
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simonetta long disegni 1La brušcatura è il disseccamento delle foglie dell’ulivo dovuto anche al ceppo batterico della Xylella fastidiosa. Nella letteratura scientica questo disseccamento rapido dell’ulivo è conosciuto come CoDiRO, cioè Olive Quick Decline Syndrome. La Sindrome dell’ulivo colpisce prima rami piccoli ed isolati, per poi infettare tutta la chioma e l’intera pianta che appare bruciacchiata ed ischeletrita. Con le radici della pianta ancora vive, la pianta riesce ad emettere gli ultimi polloni, anch’essi destinati a brušcatura, al disseccamento che, per inciso, non sempre è dovuto al batterio della Xylella fastidiosa, talvolta le cause sono altre.

Antiche e maestose piante sono, purtroppo, destinate a morire. E l’intervento umano è, almeno fino ad oggi, del tutto inutile a salvare l’ulivo secolare del nostro Salento. La foresta di ulivi scompare per diventare legna da ardere, mentre il verde di un tempo diventa marrone. Restano spettrali ceppi secchi e radici senza linfa in un terreno desolato e desertificato, senza alcuna ombra. Una strage di ulivi innocenti.

simonetta long disegni 2Di chi le colpe? Quali i rimedi? Delle prime si può anche parlare, delle seconde si attendono ancora i risultati di ricerche ed interventi, spesso confusi e tardivi.

Erano terre abbandonate e non curate quelle su cui si è abbattuta la brušcatura? In genere no, il contadino salentino non ha mai abbandonato le sue terre, ha forse dormito, ha forse dimenticato le antiche tradizioni e gli antichi valori  per abbracciare il profitto di una agricoltura moderna, superintensiva, senza alcun rispetto dei tempi e dei ritmi di una pianta che, se non stressata, è capace di sfidare i secoli.

Simonetta Longo Foto2Il tempo… è quello che si è perso per combattere un batterio che, si diceva, non esistesse, salvo poi ricredersi quando l’albero seccava.

Il tempo… è quello che non è bastato a tutti noi per imparare a rispettare una pianta sacra che credevamo non potesse morire e scomparire e che, invece, muore e scompare, come ogni cosa su questa terra.

E l’assenza di rispetto è soprattutto dovuto ad assenza di cultura, di lungimiranza. La prima nasce dalla tradizione, dal rispetto degli antichi valori, la seconda dalla volontà di migliorare e progredire, di guardare avanti. Ma attenzione, anche se è antico un valore, e la nostra pianta di ulivo è un valore, anche se è antica una tradizione, tanto maggiore è la loro validità, che non resta, però, immutata nel tempo, dal momento che solo la novità e il progresso concorrono a migliorare la società, perché l’antico in sé non ha alcun valore.

Uno dei modi che abbiamo di preservare questi antichi valori e di traghettarli nel futuro, di preservare le nostre radici perché siano in grado di emettere rami e foglie e frutti, di cercare di sensibilizzare, come oggi si dice, tutti verso questo problema che “affligge i secolari testimoni della storia del Salento”, è di condividere, oggi come non mai, questi temi ad ogni livello comunicativo, musica e poesia incluse.

Poeti, musicisti e attori hanno da sempre cantato l’albero di ulivo, ritenuto dono di Dio al genere umano (Omero lo definì oro liquido); di recente lo hanno fatto, solo per citarne alcuni, Vinicio Capossela con il suo Ballate per uomini e bestie; Cosimo Damiano Damato con il suo Ulivi, odore di Gestmani e il bellissimo monologo Olio Divino; il “Teatro delle molliche” di Corato con il cortometraggio Figli di Madre Terra; Grazia Stella Elia con le poesie de L’anima e l’ulivo e i Canti dell’ulivo; Maria Francesca Mariano con il suo Ulivo Sacro.

È poesia sociale, di denuncia; uno strumento che gli artisti utilizzano non solo per esprimere un disagio personale ma anche per comunicare un dolore profondo, una sofferenza che è palesata fino alla denuncia con l’intento di spingere al cambiamento di una società sentita come estranea se non addirittura nemica.

È un confine labile quello tra poesia lirica e impegno sociale; i poeti lo sanno, sanno che la poesia, in ogni sua forma, può essere efficace a risvegliare le coscienze sopite o a crearne di nuove se mai possedute, come nel caso di una forte e profonda coscienza ecologica.

Tra questi poeti impegnati, troviamo la poetessa di origine salentina Simonetta Longo, condirettore della nota rivista letteraria milanese “Il Segnale”,  che recentemente ha pubblicato una plaquette a fumetti proprio sugli ulivi del Salento colpiti dalla Xylella.

Il titolo della plaquette è “La sindrome dell’ulivo” e la sua caratteristica, da ascrivere ad un autonomo e diverso sperimentalismo poetico, è subito evidente al lettore, dal meno accorto al più accorto: è un fumetto poetico, è una poesia niente affatto didascalica ma fusa con le immagini, scarni disegni quasi xilografici; parole e immagini fuse insieme che servono alla poetessa per narrare, con impronta indelebile nel lettore, l’immensa tragedia di milioni di piante di ulivo, inesorabilmente tagliate ed estirpate dalla mano dell’uomo a causa della Xylella fastidiosa e della sua incuria colpevole. Una strage che lascia un vuoto, un deserto non solo nella foresta di ulivi salentini, ma nella stessa cultura salentina, nella storia millenaria di questa terra, contemporaneamente benedetta e sfortunata.

Le immagini che accolgono i versi della Longo sono disegni essenziali e scarni, simili alla terra riarsa di Puglia; i disegni sono realizzati al computer dalla stessa poetessa, insieme al critico Mario Buonofiglio. L’impressione che se ne ricava è un vero colpo al cuore e gli ulivi ormai morti testimoniano muti un senso di sradicamento e di estraneità dalla madre Terra, abbandonata dagli uomini che hanno da tempo deciso di tagliare l’antico cordone ombelicale.  Gli ulivi tagliati senza pietà desertificano la terra e la memoria, mentre i versi, impietosi, martellano il lettore “perché un albero / – proprio come un verso – / non ha difese / o vie di fuga”.

Siamo alla denuncia di una tragedia immane, impossibile da raccontare perché incomprensibile, anche se in apparenza “le radici rimangono salde sì / aggrappate alla terra /sono le foglie a cambiare / verdi come le iridi di un nonno /che raccontava antiche storie / ma l’eradicazione / non ammette racconto possibile”.

Una poetessa impegnata, capace di utilizzare gli strumenti della parola scritta e del disegno per insinuare dubbi sui comportamenti umani, sulle scelte compiute e sui risultati ottenuti; lo fa non solo per demolire placidi equilibri ma per spiattellare, senza pietà e con profonda consapevolezza, la verità che non vogliamo accettare: stiamo uccidendo la nostra madre Terra e con essa stiamo scavando la nostra fossa.

Simonetta Longo usa lo scarno verso come un’immagine e la secca immagine come un verso; in questo modo, in stretto rapporto con la realtà, ci porta dentro alla tragedia, direttamente sul campo, cogliendo il il grido di dolore, la sofferenza e il lamento di milioni di ulivi. E mentre vediamo e leggiamo, nello stesso preciso istante, il deserto della memoria avanza e solo in pochi odono il grido della madre Terra.

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