La via Appia di Vincenzo Gagliani

Marcello Ignone Settembre 08, 2020 2002
Copertina de La Via Appia Copertina de La Via Appia

La Via Appia è stata per secoli il luogo d’incontro di popoli diversi e lo è anche nell’ultima fatica letteraria di Vincenzo Gagliani.

Come definire il libro? Difficile catalogarlo. L’opera è composta apparentemente di due parti, ma in realtà sono tre, perché la seconda e la terza sono fuse insieme.

La prima parte (da pag. 15, prefazione dell’autore compresa, fino a pag. 154) è la parte storica, un vero saggio storico sulla Via Appia; un percorso dal generale, la storia della Regina viarum, fino allo specifico, con notizie archeologiche, documenti e foto, del tratto Taranto-Brindisi, con particolare attenzione al segmento della Via Appia da Oria a Mesagne.

La seconda parte ha un titolo uniforme: “C’eravamo tanto amati”. È la parte letteraria, anche se continuamente, come potete facilmente constatare leggendo l’opera di Gagliani, la storia è sempre presente, anche se non c’è solo la Storia con la S maiuscola, ma anche le storie, con la s minuscola, di quattro ragazzi del Sud, di quattro adolescenti latianesi e della loro amicizia, dei loro giochi estivi nell’assolata campagna latianese degli anni Sessanta.

Gagliani vincenzo profA partire da pag. 155 fanno capolino anche alcune tradizioni agricole locali, tra cui la faticosa coltura del tabacco, la sua raccolta e la sua lavorazione.

La seconda parte narra alcune vicende di una banda di amici adolescenti (Vito, Luciano, Nicola e il più grande di tutti, Arturo) alla quale si unisce una ragazza quindicenne del Nord, Cristina.  

Siamo nella letteratura, nel racconto quasi autobiografico; ci sono i ricordi di un tempo che fu, del mondo rurale latianese degli anni Sessanta del secolo scorso in profondo cambiamento; c’è l’innamoramento di tutto il gruppo per questa bionda nordista che però, alla fine, ha occhi e cuore solo per Arturo, l’intellettuale del gruppetto di amici.

Un viaggio di scoperta di Muro Tenente, contemporaneamente reale ed immaginario, dei due ragazzi, Arturo e Cristina, a tramonto iniziato segna l’inizio della terza parte, da pag. 193 fino a pag. 315.

In questa terza parte, che segue sul filo della memoria dei due ragazzi, ci sono le testimonianze di personaggi appartenenti ad epoche antiche diverse, addirittura ad un lungo arco di tempo di circa sette secoli.

Altre epoche, altri uomini (i personaggi sono tutti uomini, l’unica presenza femminile è quella di Cristina) che nella realtà non è possibile incontrare. La terza parte, infatti, è relativa ad un genere letterario definito come “colloquio fantastico postumo”.

I protagonisti, anche se adolescenti, o assistono al dialogo di alcuni “fantasmi” o sono loro stessi ad intervistarli; sono tutti personaggi storici di un tempo che fu e che ebbero qualcosa a che fare direttamente con la Via Appia e, nello specifico con il nostro territorio.

Ma andiamo con ordine e seguiamo il libro del prof. Vincenzo Gagliani.

L’autore latianese comincia la prima parte citando lo storico greco Procopio di Cesarea, vissuto tra il 490 e il 565;  lo storico, nel suo libro Guerra Gotica, siamo nel 535, così scrive della Via Appia: “È veramente una delle opere più meravigliose del mondo. Tutte le pietre del selciato, che sono pietre molari dure, Appio Claudio le fece trasportare cavandole altrove, perché non si trovano in questa regione. Poi fece scalpellare quelle pietre, fino a renderle lisce in superficie e le fece tagliare ad angoli, in modo che combaciassero tra di loro senza calce né altro coesivo, ed esse stanno unite tanto saldamente che chi le osserva non crede che siano state disposte ad arte, ma che formino un unico insieme. E malgrado il tempo passato eppure essendo stata percorsa ogni giorno davanti e indietro da moltitudini di veicoli e di animali di ogni specie, la loro compagine non è stata in alcun modo sconnessa, né hanno perduto nulla della loro levigatezza”.

Quasi nove secoli dopo la sua costruzione, la Regina viarum era ancora in uso e, pare, anche in perfetto stato! Gagliani riporta, documenti storici e letterari alla mano, le vicende legate alla costruzione della Via Appia che, come sappiamo, fu costruita a partire dal 312 a.C. per volontà del censore Appio Claudio per collegare, inizialmente, Roma a Capua e, successivamente e a tappe, fu prolungata verso sud; la costruzione dell’importante arteria viaria, di fatto, accompagnò l’espansione romana in Italia meridionale.

Non sta a questo breve saggio descrivere gli avvenimenti storici che interessarono la costruzione della Via Appia. Il saggio storico di Gagliani, cioè la prima parte del suo lavoro, è esauriente. È indubbio, comunque, che sono decenni, se non secoli, che assistiamo a studi di ricostruzione storica e, soprattutto, topografica nati “a tavolino”, purtroppo alcune volte senza alcuna conoscenza reale dei territori attraversati dalla Via Appia. Questo non è vero per questo lavoro perché Gagliani si sofferma solo lo stretto necessario sull’origine della Regina Viarum e sui tratti di strada che non interessano lo specifico tratto istmico Taranto-Brindisi. È qui che l’autore, nella prima parte del volume, concentra la sua attenzione e, in particolare, sul segmento Oria-Mesagne, “che è quello che riguarda il territorio di Latiano” come sottolinea lo stesso Gagliani.

Siamo convinti che un artefatto del passato, nel nostro caso specifico una strada, la Via Appia, vada studiato, come tutti gli studi storici anche locali del resto, tenendo presente il territorio e facendo interagire le fonti, da quelle archeologiche a quelle epigrafiche e cartografiche, da quelle storiche a quelle letterarie. Ed è quello che fa molto bene Vincenzo Gagliani nella sua trattazione storica degli “Incontri lungo la Via Appia”.

Ovviamente, la Via Appia lungo il suo tracciato istmico che la prolungava a Brindisi, non può che essere successiva alla conquista di Taranto da parte dei Romani, conquista avvenuta, ricordiamolo, nel 272 a.C. Fu allora e solo allora che la Regina Viarum divenne la “spina dorsale dell’intera rete viaria nel meridione”.

La conquista da parte romana del territorio messapico o, se volete, della Messapia (anche se i Messapi non chiamavano se stessi in questo modo) fu completata nel 266 a.C. e la colonia latina di Brundisium fu fondata nel 244 a.C. 

Non conosciamo la data precisa del completamento del tratto dell’Appia tra Taranto e Brindisi; avvenne dopo la conquista di Brindisi e, sicuramente, dovette essere utilizzata da Roma per spostare le sue legioni durante le campagne contro la pirateria nell’Adriatico (229 a.C.) e durante le guerre macedoniche (ricordiamo che la prima della quattro guerre contro la Macedonia fu combattuta dal 214 al 205 a.C.).

I riferimenti cronologici sono importanti e scorrono lungo tutto il libro di Gagliani, anche nelle interviste impossibili. Ad esempio, è emblematico l’episodio, narrato da Livio e ripreso da Gagliani, relativo al viaggio di cinque giorni che Marco Catone percorse nel 191 a.C. da Brindisi a Roma per annunciare la vittoria romana in Grecia su Antioco III; un viaggio così rapido, per i tempi, lascia supporre che la Via Appia fosse già terminata, agibile, stabile e con stazioni lungo il percorso.

Per inciso e ad onor del vero, non sempre le date proposte nei secoli dagli studiosi sui diversi tratti della Regina viarum sono corrette e, addirittura, la confusione è certa quando ci si ostina a non considerare che una strada, anche un suo segmento, non nasce dal nulla, come nel caso del tratto della Via Appia tra Oria e Mesagne che erano collegate anche in precedenza, molto prima della Via Appia che, di conseguenza, sfruttò una strada messapica precedente, forse addirittura preistorica, in tutto o per gran parte, anche se probabilmente non lastricata, ma semplice via naturale, sentiero o tratturo come altri esistenti che collegavano i villaggi esistenti nel nostro territorio.

Parliamo di Via Appia, quindi, quando questa fu lastricata, anche se non sempre lo fu, e divenne pubblica e quando le fonti riportano notizie topografiche precise e, quindi, dimostrabili.  Ad esempio, solo sulla base di indizi ma non di scavi sistematici possiamo stabilire che il tracciato della Via Appia da Benevento a Brindisi fu completato nel lasso di tempo compreso tra la guerra contro Taranto e Pirro e la seconda guerra punica.

Manca, almeno fino ad oggi ma il futuro, alcuni progetti e recenti scoperte fanno ben sperare, il conforto del dato archeologico per stabilire con qualche certezza la datazione anche se non del tutto precisa della costruzione del tratto della Via Appia che ci riguarda e che, in particolare, è trattato nel libro di Gagliani, cioè quello relativo al segmento Oria-Mesagne, dal momento che le fonti antiche non hanno conservato riferimenti precisi; addirittura, talvolta non sappiamo nemmeno riconoscere e ricostruire con certezza il suo percorso che resta ancora incerto e vago.

Non dimentichiamo che le principali strade che collegavano la Puglia all’Italia centrale e, quindi a Roma, furono tre: la via Appia, la via Minucia (ripresa in età imperiale dalla via Traiana) e la cosiddetta “via Sallentina”, entrata tardi nel cursus publicus ma già presente in età messapica.

Chiaramente a noi interessa, insieme a Gagliani, la Via Appia nel suo segmento istmico Taranto-Brindisi, il pratica suo tratto finale, lungo 44 miglia.

Ricostruendo, in sintesi, quanto riportato nel libro dal prof. Gagliani (e prima di lui da diversi studiosi, basta consultare le note e la ricca bibliografia presenti nel libro del prof. Gagliani), la via Appia, riprendendo grosso modo un’antica direttrice messapica, da Taranto città arrivava a nord di S. Giorgio Ionico e, prima Carosino, piegava a nord-est verso la statio di Mesochorum (attuale masseria Misicuro) e qui la Via Appia si ricongiungeva con la sua variante extra-urbana, posta a nord di Taranto; la strada raggiungeva quindi Oria (la mansio di Urbius), masseria Vicentino e, successivamente la statio di Scamnum, ossia l’attuale Muro Tenente; puntava, quindi, verso Mesagne, sicuramente a nord della città e si concludeva a Brindisi. Questa ricostruzione è attendibile, salvo nuove scoperte archeologiche che potranno solo affinare il percorso.

Continuiamo a seguire l’ordine del libro di Vincenzo Gagliani e andiamo a spulciare la seconda e la terza parte che, come abbiamo visto, risultano concatenate.

In tutto i colloqui fantastici postumi sono sei, un dialogo e cinque interviste:

1° - Dialogo tra Cesare e Cicerone in territorio di Latiano, nei pressi di Scamnum, Muro tenente, il 25 settembre del 47 a.C; il dialogo tra i due grandi protagonisti della storia di Roma del I secolo a. C. verte sul potere e sul governo di una nazione; come sappiamo Cicerone all’inizio appoggiò Cesare ma quando costui sconfisse Pompeo e divenne dittatore, se ne allontanò e prese le distanze dalla sua politica; Cicerone sognava una Repubblica ideale e per qualche momento si illuse che Cesare avesse potuto restaurare la repubblica; Cesare, invece, aveva ambizioni monarchiche comunque contrarie al vecchio ideale repubblicano.

2° - Intervista impossibile ad Orazio, uno dei più grandi poeti dell’età antica, maestro dell’ars vivendi; Gagliani ne accenna vita ed opere ma, soprattutto, lo pone come maestro di consigli sull’arte di scrivere e di comunicare anche in considerazione del fatto che nell’opera del grande poeta romano si può riconoscere in molte occasioni una funzione comunicativa mai encomiastica anzi con il fine di trasmettere al lettore e a noi posteri un’esperienza concreta di socievolezza e di autentici rapporti umani.

3° - Intervista impossibile a san Pietro che, secondo la tradizione agiografica, sbarcò in Puglia seguendo le antiche rotte romane; ci sono alcune città pugliesi che vantano la fondazione petrina delle proprie diocesi, tra queste Otranto, Leuca, Taranto e Lucera; Pietro probabilmente predicò il Vangelo anche a Roma e nella città eterna morì tra il 64 e il 67 durante le persecuzioni cristiane ordinate da Nerone.

4° - Intervista impossibile ad Ottaviano; l’intervista verte sulla presa del potere di Ottaviano alla morte di Cesare, alla sua lotta contro Antonio e ai rapporti, spesso conflittuali, che il primo imperatore romano ebbe con i suoi stessi familiari.

5° - Intervista impossibile a Catone il Censore, preso anche dai ragazzi a modello di virtù e valori antichi al punto da far esclamare a Cristina “… Questi si che sono uomini! Persone con la schiena diritt, senza peli sulla lingua…”.

6° - Intervista impossibile a Costante II; è l’ultima intervista impossibile con un salto temporale di circa sette secoli; Costante II (630-668) fu l’unico sovrano bizantino a muovere personalmente verso la parte occidentale del suo impero e a venire in Italia allo scopo di trasferire la capitale dell’Impero o di quello che ne restava, da Bisanzio a Roma; la curiosità e la successiva condanna dei ragazzi di alcune azioni di Costante II, relativa alla sua presunta follia e al rimorso per l’assassinio del fratello, non bastano certo a spiegare le ragioni storiche della sua politica italiana.

Insomma, nel libro Costante II è il cattivo, è la cattiva coscienza anche di una strada che non fu solo via di sviluppo e commerci, ma vi marciarono eserciti che andavano in guerra, a massacrare e farsi massacrare; ricordiamoci di Crasso che, sconfitto Spartaco, fece crocifiggere lungo la via Appia, da Capua a Roma, una gran parte dei ribelli prigionieri, le fonti parlano di 6.000; insomma, fu una via di “comunicazione” efficace in ogni senso. 

Le interviste sono precedute da brevi dialoghi tra Arturo e Cristina smarriti nel sogno di una notte magica; questi brevi dialoghi servono a commentare le interviste precedenti e ad introdurre la successiva.

Infine, per comprendere pienamente le ragioni di fondo del bel libro di Gagliani, occorre leggere un pezzo della prefazione, in particolare della parte finale, quando, con una certa enfasi, il professore latianese, autore di tanti saggi sul suo paese natio, scrive che “… nella storia non siamo appesi nel vuoto, che siamo tutti figli di un passato significativo, che ha avuto anche dalle nostre parti i suoi punti di eccellenza..." e se abbiamo coscienza di questo, allora “…potrà scattare dentro di noi un senso di appartenenza e di orgoglio per quello che siamo e per quello che siamo stati…”.

 

 

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Ultima modifica il Martedì, 08 Settembre 2020 13:47