Un Brigante: Vincenzo Mazzeo Di Prezzo (II parte)

Settembre 16, 2017 4213

Di Prezzo(di Enzo Poci, Società di Storia Patria per la Puglia)

La giornata della memoria, l’Unità d’Italia, il Sud e il brigantaggio.
UN BRIGANTE: VINCENZO MAZZEO DI PREZZO
Continua dal precedente, ultima parte.

L’interrogatorio di Vincenzo Raffaele Mazzeo Di Prezzo (o De Prezzo) rivela una serie di vicende accadute nel territorio brindisino centrate sull’attività ricattatrice, mediante l’uso di biglietti estorsivi nei confronti di proprietari di masserie, condotta nell’autunno del 1862 dalle bande di Giuseppe Nicola Laveneziana, detto Figlio del Re di Carovigno, di Giuseppe Valente, detto Nenna Nenna di Carovigno e del sergente Pasquale Domenico Romano di Gioia del Colle, appellato Errico La Morte o Franciscano Terribile.

Il fatto più grave è quello avvenuto il 23 ottobre del 1862 nella masseria Santa Teresa, dove un duro scontro a fuoco oppone la banda brigantesca (forte di cinquanta uomini, della quale De Prezzo faceva parte) contro una pattuglia militare comandata dal sergente dei Carabinieri a cavallo Giuseppe Fiorineschi, originario di Pistoia e in servizio presso la Stazione dei Carabinieri di San Pietro Vernotico, il quale con quattro carabinieri a cavallo, altri due a piedi e con varie Guardie Nazionali di Cellino San Marco si trova in perlustrazione nelle campagne comprese tra questa cittadina e quella di Tuturano.

Leggiamo il racconto che ci ha lasciato Il Cittadino Leccese del 31 ottobre 1862:

«Verso le ore 11 ant. del 23, una colonna composta di 5 Carabinieri a cavallo e 2 a piedi con 45 G.N. s’incontrava alla masseria S. Teresa con una banda di briganti a cavallo, che avea a suo capo, La Veneziana.

I Carabinieri a cavallo credendo essere sostenuti dalla G.N. si slanciarono alla corsa contro i briganti; questi accennarono darsi alla fuga, ma nel frattempo la G.N. presa da timor panico fuggiva in direzione di Cellino sparpagliandosi per la pianura.

Di ciò avvistisi i briganti sostarono e fecersi quindi addosso ai Carabinieri che si trovarono costretti retrocedere, sostenendo la ritirata dei due che erano a piedi. Fortunatamente per i Carabinieri i briganti volendo attorniare la G.N. fuggente formarono un semicerchio nella pianura, ed i Carabinieri poterono combattere alla spicciolata e farli sostare, dando così luogo alle G.N. di rientrare in paese.

Un brigante, caduto da cavallo, [si trattava di Carmine Patisso di Carovigno citato dal Di Prezzo], impostò il suo fucile contro il Carabiniere Arini e con un colpo lo rovesciava da cavallo fratturandogli il braccio destro. Quindi il brigante stesso gli era addosso dandogli col fucile sulla testa, ma il Carabiniere afferravalo pel collo colla mano sinistra, e sopraggiunto il Brigadiere Fiorineschi e il Carabiniere Pilutto, scaricavagli questo un colpo di revolvers, ed assestavagli l’altro più colpi di sciabola nella testa per cui rimase come morto.

I briganti accorrevano allora in soccorso di lui: ed i Carabinieri, rimontato a fatica l’Arini a cavallo, dovettero ritirarsi in paese, inseguiti sempre dai briganti. Rimasero prigionieri di questi 12 militi, che invece di ritirarsi eransi nascosti nella macchia, dei quali uccisero tre perché portanti pizzo e baffi all’italiana, e rilasciarono gli altri nove dopo avergli tagliato un pezzo di orecchio, per essere così pecore segnate. I cadaveri dei tre uccisi furono rinvenuti in parte bruciati.

Il brigante ferito fu portato via dai briganti quasi moribondo».

Le tre Guardie Nazionali uccise sono Marco Pecoraro, Cristofaro Miglietta e Giuseppe Mauro detto il mesagnese. Un’altra Guardia Nazionale, Vit’Antonio Donadeo, ebbe salva la vita perché mentre stava per essere ucciso, esclamò “Madonna del Carmine aiutami!”, il fucile si inceppò, allora il sergente Romano, l’uomo che stava per eseguire la fucilazione del Donadeo, disse «alzati che tu sei salvo, e devi essere veramente devoto della Madonna del Carmine come ne sono io; le devi fare una gran festa».

Molte informazioni emergono da questo interrogatorio, in particolare che la banda era tanto forte al punto da ipotizzare di liberare i carcerati del bagno penale di Brindisi «di aggredire Brindisi e più facilmente Mesagne».

Nel 1869 si celebra davanti alla Corte d’Assise di Trani sedente in Bari un processo contro ventidue imputati che avevano scorrazzato soprattutto nella provincia di Brindisi seminando terrore e provocando uccisioni, ferimenti, ricatti, furti e incendi in diverse masserie ed anche in alcune città: Erchie e Carovigno.

I delitti loro ascritti sono: “associazione di malfattori ad oggetto di delinquere contro le persone e contro le proprietà”, estorsioni, grassazioni, furti, uccisione di bestiame, complicità negli omicidi di alcune Guardie nazionali, incendi di raccolti e taglieggiamenti vari.

Davanti alla Corte compaiono capibanda e gregari, alcuni di essi erano stati catturati dalle forze dell’ordine, altri si erano spontaneamente presentati ai tutori della legge nella convinzione di poter beneficiare di quei vantaggi previsti.

Abbiamo letto i verbali che si trovano custoditi nell’Archivio di Stato di Bari insieme con gli altri documenti pubblicati.

Per rendere più agevole la lettura, riportiamo la sentenza in appendice.


CONCLUSIONI

Come apprendiamo dalla lettura degli atti processuali e delle sentenze di condanna, il grosso delle bande brigantesche nel nostro territorio era costituito dai contadini e dai renitenti alla leva: il contadino meridionale, facendosi bandito, non intendeva esprimere la sua fedeltà ai Borbone, piuttosto la sua avversione ai nuovi regnanti, dare sfogo alla sua delusione e disperazione.

La sua fu una guerra civile terribile, senza risparmio di crudeltà e di efferatezze, complice non invitato il suo analfabetismo completo.

La repressione che precede e segue l’approvazione della legge Pica, la quale alla fine riuscì a debellare il brigantaggio, non fu da meno, attuata senza riflessione e senza misericordia dagli ufficiali sabaudi, gentiluomini istruiti e raffinati.

Che cosa dobbiamo ricordare nella Giornata della Memoria che la Regione Puglia vuole istituire? Gli episodi delinquenziali che abbiamo ricordato? L’uccisione delle Guardie Nazionali di Cellino e il ferimento di alcuni Carabinieri che erano alla ricerca di briganti per fare osservare la legge? Oppure i processi marziali, le deportazioni con i centri abitati lasciati alle fiamme quale misura draconiana di rappresaglia?

Forse in questa Giornata occorre ritornare a discutere sul processo dell’Unità d’Italia e su alcuni personaggi che l’hanno realizzata.

L’Unità d’Italia doveva essere fatta, molti secoli lo aspettavano, ma non come è stata imposta: invasione paramilitare, stato d’assedio, processi rapidi seguiti dalle esecuzioni sommarie, requisizioni, grassazione fiscale, arruolamento coatto, soprattutto con l’idea di origine squisitamente massonica di una supremazia concettuale e morale nei burocrati piemontesi, dimentichi che le terre che hanno liberato ed occupato, per lunghi secoli sono rimaste unite nel solo nome di Magna Grecia.

Sotto i Borbone non si viveva bene, ma l’unificazione che è stata realizzata ci ha fatto precipitare in un baratro da dove non usciremo più. La questione meridionale esisteva prima dell’Unità e da essa è stata aggravata.

Vogliamo discutere dei vecchi borbonici e sui nuovi liberali, su alcuni molto audaci, protetti dal nuovo stato italiano, che non hanno fatto che usurpare i beni demaniali ed acquistare a poco prezzo gli immobili confiscati alla Chiesa e agli ordini monastici, le terre già promesse ai contadini meridionali.

Il conte di Cavour, Presidente del Consiglio, muore nel mese di giugno del 1861, troppo presto. Chissà se fosse vissuto come sarebbe cambiata la nostra «Questione».

Mi piace ricordare le parole del grande statista, quando, dopo avere ricevuto il re sul letto di morte, disse: «L’Italia del Nord è fatta, non ci sono più né lombardi, né piemontesi, né toscani, né romagnoli; siamo tutti italiani; ma ci sono ancora i napoletani. Oh, c’è molta corruzione nel loro Paese. Non è colpa loro, poveretti, sono stati così mal governati. E’ colpa di quel furfante di Ferdinando.

No, no, un governo così corruttore non può essere restaurato, la Provvidenza non lo permetterà. Bisogna moralizzare il Paese, educare l’infanzia e la gioventù, creare asili, collegi militari; ma non è certo ingiuriando i napoletani che riusciremo a cambiarli. Mi chiedono impieghi, decorazioni, carriera; bisogna che lavorino, che siano onesti; e allora gli darò decorazioni e carriera: ma soprattutto niente elargizioni, l’impiegato non deve neppure essere sospettato. E niente stati di assedio […] tutti sanno governare con gli stati di assedio.

Lì governerò con la libertà e mostrerò ciò che dieci anni di libertà possono fare di quelle belle regioni. Fra vent’anni saranno le province più ricche d’Italia. No, basta con gli stati di assedio, vi raccomando…».

Chi scrive non può condividere il giudizio partigiano del conte sulla persona del sovrano Borbone, senza unire al suo nome quello dei re Savoia, cinici ed infingardi, ma anche di coloro che nel passato prossimo hanno rappresentato, e presentemente rappresentano, la Repubblica che è seguita.

Il solo modo perché un disegno storico, antico di tanti secoli, potesse trovare un compimento esaustivo ed onesto era quello indicato nel programma dell’ideologo più ricercato nell’Italia di quegli anni, Giuseppe Mazzini.

Unità, non confederazione; repubblica, non monarchia; insurrezione ed educazione nazionale, non diplomazia ed aiuto straniero. Mazzini proponeva che gli italiani dovessero trovare la loro redenzione e che l’Italia unita avesse una «missione», quella di liberare i popoli oppressi d’Europa e di guidarli verso una pacifica civiltà di nazioni governate democraticamente.

Il programma mazziniano indicava una repubblica autentica, ed un governo limpido, nati dal popolo e per il popolo, illuminati dalle parole del solo statista che in quei decenni ha pagato nella sua vita e con la sua vita la fedeltà estrema ed onesta verso il sogno di una vera democrazia repubblicana, il presidente Lincoln, dolorosamente consapevole che «se una casa è divisa in se stessa, quella casa non può reggersi»: Marco, 3, 25.

«Se rimanete nella mia parola, siete realmente miei discepoli, e conoscerete la verità, e la verità vi renderà liberi», ci istruisce finalmente Giovanni evangelista (8, 12-30) ma, al contrario della parola del SALVATORE, la Verità ha fatto parte così rare volte delle vicende spesso chiaroscurate di questo paese, di tutto il paese, ricco di figure chiamate eroi, nella realtà personaggi prezzolati dall’offerente migliore, o dal meno democratico, monarchi o presidenti accuditi da stuoli di pennivendoli tanto solleciti a ripulire i loro fatti con le piaggerie più agili e gloriose.


SENTENZA

Addi 18 Giugno 1869

Il lavoro è cominciato alle ore nove antimeridiane in Bari

Proseguitosi il pubblico dibattimento a carico dei detenuti segnati nel foglio del dì 8 giugno.

[…]

La Corte d’Assise

Visto il verdetto dei giurati dal quale risulta che gli accusati cioè

1° Oronzo del fu Domenico Basso, detto Bellofatto, di anni 34 contadino di Carovigno

2° Vito del fu Francesco Blasi, di anni 31 contadino di Ostuni

3° Antonio Campana, d’ignoti genitori, di anni 34, trainante di Latiano

4° Antonio di Luigi Cascone, nato in Piemonte di Gragnano il 2 luglio 1848 e dom. in Galatone, trainante

5° Francesco del fu Angelo Clemente detto Sfasciacantina, di anni 29 contadino di Palagianello

6° Pasquale fu Pietro Coppola di anni 31 di Napoli dom in Sanarica

7° Antonio Raffaele Esposito, di padre incerto contadino di Ceglie d’Ostuni, nato il 14 giugno 1843

8° Giuseppe Greco, di Vito, detto il figlio di Vituddo, contadino nato il 28 luglio 1842 di S. Vito dei Normanni

9° Francesco Salvatore di Belisario Laveneziana, di anni 31, contadino di Carovigno.

10° Cosimo di Orazio Manieri merciaiuolo nato il 5 gennaro 1843 di Nardò.

11° Giuseppe fu Pasquale Marinuzzi di anni 29 contadino di Palagianello

12° Marino del fu Giuseppe Marsella di anni 32 contadino di Massafra

13° Angelo di Vito Giuseppe Marulli di anni 30 contadino di S. Vito dei Normanni.

14° Giuseppe Tommaso, fu Michele Micelli, di anni 49, fabbro ferraio di Santa Susanna [Torre Santa Susanna]

15° Vincenzo Raffaele di Prezzo, fu Angelo, detto Curdaro di Mesagne di anni 30, contadino di Sandonaci dom. in Mesagne

16° Luigi, fu Raffaele Sozzo, di anni 31 contadino di Novoli

17° Giovanni del fu Domenico Spadafina, di anni 32 calzolaio di Palo del Colle.

18° Antonio fu Rosario di Tommaso, di anni 30, contadino di Carmiano.

19° Pasquale di Paolo Trisolini, detto Paolone, di anni 42 contadino di Palagianello-

20° Giuseppe del fu Domenico Valente, detto Nennanenna, di anni 36, trainante di Palagianello[il suo luogo di residenza era Carovigno]

21° Francesco Paolo Valerio, fu Saverio, detto il Cavalcante, di anni 33, di Gravina, e finalmente

22° Angelo, fu Cataldo Ventrella, di anni 30, contadino di Ceglie d’Ostuni.

Sieno colpevoli

Di associazione di malfattori per avere negli ultimi mesi del 1862 fatto volontariamente parte di un’associazione di malfattori riuniti nel circondario di Brindisi in numero non minore di cinque ad oggetto di delinquere contro le persone e contro le proprietà.

Ed inoltre gli accusati Valente[e] Campana di complicità necessaria nei tentativi di estorsione commessi in associazione di malfattori a danno dei seguenti individui cioè_

(a) Sig. Pasquale Perez nel 10 settembre 1862 nella masseria Cuoco

(b) Del Sig. Francesco De Castro la sera del 20 Novembre 1862 nella masseria Masciullo

(c) Delle Sig.re Innocenzia e Chiara Perez il 3 ottobre 1862 nella masseria Lucci

(d) Del Sig. Antonio Murri il 29 ottobre 1862 nella masseria Specchia

(e) Del Sig. Vincenzo de Nitto nell’ottobre e Novembre 1862 nella masseria S. Nicola

(f) Del Sig. Francesco Carlucci nel 29 ottobre 1862 nella masseria Barone

I ripetuti Campana, Valente e di Prezzo di complicità necessaria nel tentativo di estorsione in danno del Sig. Giuseppe Catanzaro seguito anche in associazione di malfattori nell’ottobre del 1862.

Il detto Campana, come pure gli altri accusati Barco, Blasi, Clemente, Greco, Laveneziana, Manieri, Marulli, Sozzo, Spadafina e Valerio di complicità necessaria nelle grassazioni

(a) di 14 fucili militari che esistevano nel corpo di guardia nazionale di Carovigno

(b) due selle e due pistole ed altri oggetti in danno di Renato Cavallo

(c) Una giumenta in danno di Giuseppe Brandi

Quali tre reati furono commessi in Carovigno in associazione di malfattori il 21 Novembre 62

(d) di diversi oggetti nella masseria Canali a danno di Pietro Cavallo, e

(e) Di una giumenta ed altri effetti a danno di Pasquale Morleo nella masseria Sole

(f) di una giumenta nella masseria Massa a danno di Ferdinando Nicolì

E questi tre ultimi reati consumati il 23 Novembre 1862, egualmente in associazione di malfattori.

Il ripetuto Campana e Valente di complicità necessaria nelle altre grassazioni confermate sempre in associazione di malfattori a danno dei seguenti individui, cioè

(a) Un cavallo nella masseria Cuoco in danno del Sig. Pasquale Perez la notte del 3 al 4 ottobre 1862._

(b) Un altro cavallo nella masseria suddetta nel 21 detto mese di ottobre in pregiudizio di Andrea Melpignano

(c)Una giumenta ed altri oggetti al Sig. Francesco de Castro nella masseria Masciullo il 3 ottobre 1862

(d) Un fucile nel due detto mese a danno di Giuseppe Catanzaro nella masseria Spada

(e) Due cavalli, formaggio ed altri nel 21 ripetuto mese di ottobre a danno dello stesso Catanzaro nella masseria Restinco._

(f) Del pane e dei commestibili, un fucile, due muli ed altri oggetti nella masseria Specchia durante l’ottobre ed il Novembre 1862 in pregiudizio di Antonio Murri

(g) Una giumenta a danno del Sig. Vincenzo De Nitto nell’ottobre del 1862 in tenimento di Mesagne_

Il de Prezzo di complicità necessaria nelle due grassazioni testé indicati l’una cioè a danno di Catanzaro nella masseria Specchia durante l’ottobre ed il Novembre di detto anno in pregiudizio di Antonio Murri

Il Campana, Valente, di Prezzo, Trisolini, Spadafina, di Tommaso e Marinuzzi di ribellione mediante attacco con violenza e vie di fatto commessa in associazione di malfattori contro la forza pubblica in servizio, i Carabinieri Reali e Guardia Nazionale di Cellino e San Pietro Vernotico vicino la masseria Santa Teresa in tenimento di Brindisi il 23 ottobre 1862 nell’atto che la forza stessa agiva per la esecuzione delle leggi e degli ordini della pubblica autorità, e di complicità necessaria negli omicidi volontari delle guardie nazionali Cristoforo Miglietta, Vincenzo Pecoraro e Giuseppe Mauro, quali omicidi furono la conseguenza immediata della ribellione sopra indicata.

I ripetuti Campana, Valente, Barco, Blasi, Clemente, Cascone, Greco, Laveneziana, Manieri, Marsella, Marulli, Trisolini, Sozzo, Spadafina, Valerio e Ventrella di altra simile ribellione consumata anche in associazione di malfattori contro la forza pubblica in servizio (Carabinieri Reali e Guardia Nazionale di San Vito) nell’atto che questa agiva per la esecuzione delle leggi e degli ordini della Pubblica Autorità, e di complicità necessaria nell’omicidio volontario del guardia nazionale Michele Catamerò, quale omicidio fu la conseguenza immediata della ribellione suddetta. Reati consumati nella masseria Badessa tenimento di S. Vito il 21 Novembre 1862.

Tutti i sedici individui testè indicati di complicità necessaria nel tentativo di estorsione commesso in associazione di malfattori in danno di Giuseppe de Biase il 23 Novembre 1862 con sequestro della persona di lui, e di complicità necessaria nell’omicidio volontario del detto De Biase, avvenuto nel 25 detto mese ed anno in conseguenza delle violenze che gli furono usate durante il sequestro.

Lo Spadafina di complicità necessaria nel tentativo di estorsione commesso in associazione di malfattori in danno di Domenico Brandi il 9 Settembre 1862 con sequestro della persona di Vincenzo Brandi figlio del detto Domenico.

Il Micelli di complicità necessaria nelle grassazioni commesse il 23 Novembre 1862 a danno di Pietro Cavallo, Pasquale Morleo, Ferdinando Nicolì in associazione di malfattori come già dichiarato di sopra.

Finalmente l’Esposito di complicità necessaria nel tentativo di estorsione a danno del Sig. Francesco Lupoli, commesso in associazione di malfattori il 27 Dicembre 1862, e di complicità necessaria nella grassazione di due fucili un orologio e denaro in danno dei fratelli Pietro ed Oronzo Agostinelli il 4 Dicembre 1862 e dell’altra grassazione di diversi oggetti in pregiudizio di Giuseppe Ligorio, entrambe consumate pure in associazione di malfattori.[…]

Condanna Vito Blasi, Antonio Campana, Francesco Clemente, Giuseppe Marinuzzi, Marino Marsella, Luigi Sozzo, Giovanni Spadafina, Antonio di Tommaso, Pasquale Trisolino, Giuseppe Valente, Francesco Paolo Valerio ed Angelo Ventrella alla pena dei lavori forzati a vita alla perdita dei dritti politici ed alla interdizione patrimoniale.

Condanna Oronzo Barco, Giuseppe Greco, Francesco Salvatore Laveneziana, Cosimo Manieri, Angelo Marulli e Vincenzo Raffaele di Prezzo alla pena dei lavori forzati per la durata di anni venti per ciascuno, alla interdizione dai pubblici uffici ed alla sorveglianza speciale di Pubblica Sicurezza per altri anni cinque per ciascuno dopo espiata la pena principale.

Condanna Giuseppe Miulli alla stessa pena dei lavori forzati per anni dieci. Antonio Raffaele Esposito a dieci anni di reclusione; ed Antonio Cascone a sette anni della detta pena di reclusione, tutte tre alla interdizione dai pubblici uffici, a quella patrimoniale durante la pena ed alla sorveglianza speciale della Pubblica Sicurezza per altri anni quattro per ciascuno dopo espiata la pena principale

Dichiara non farsi luogo a nuova applicazione di pena per l’accusato Coppola […]

Il lavoro è terminato alle ore cinque pomeridiane in Bari

          

         Il Presidente

           I Giudici

 

Ultima modifica il Sabato, 16 Settembre 2017 08:49