TEOLOGIA E FILOSOFIA ALLA LUCE DEL VANGELO DELLA DOMENICA
Siamo arrivati al quinto e ultimo incontro di questo cammino. È stato un percorso intenso, dove la Parola ha dialogato con la filosofia, aiutandoci a scoprire il volto di Dio che ama, salva e si dona. Ora, con il Vangelo di Giovanni, contempliamo il cuore del messaggio cristiano: la fede che salva, l’amore che si offre, la verità che si rivela.
La filosofia e la ragione non sono ostacoli alla fede, ma strumenti preziosi per comprenderla più profondamente. Come scrive Sant’Agostino: “Credo per comprendere, e comprendo per credere.” La fede cerca la luce della ragione per non restare cieca, e la ragione si apre alla fede per non restare vuota.
Vangelo secondo Giovanni
Gv 3,13-17
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».
Parola del Signore.
Questo brano del Vangelo secondo Giovanni (Gv 3,13-17) è uno dei passaggi più densi di significato teologico e antropologico, e si presta magnificamente a una lettura filosofica. Al centro vi è il mistero dell’incarnazione e della redenzione, che può essere esplorato attraverso le lenti di pensatori come Platone, Kierkegaard, Simone Weil e Martin Buber.
Gesù afferma: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo». Questo movimento richiama il mito platonico della caverna, dove l’anima, prigioniera dell’ignoranza, può ascendere alla luce solo se guidata da chi ha già visto il sole. Platone scrive nella Repubblica: “L’educazione è l’arte di far volgere l’anima dal mondo dell’apparenza a quello della realtà e della verità.” Gesù, come il filosofo-re platonico, è colui che discende per illuminare, per mostrare la via verso la verità e la vita eterna.
Il riferimento al serpente innalzato da Mosè (Nm 21,9) è un’immagine paradossale: ciò che era causa di morte diventa strumento di guarigione. Questo paradosso è centrale nella filosofia di Søren Kierkegaard, che nella sua opera Timore e tremore esplora il concetto di fede come “assurdo” che supera la ragione: “La fede è proprio questo paradosso: che il singolo è più grande dell’universale.” La croce, simbolo di morte, diventa il luogo della salvezza. È l’assurdo che solo la fede può abbracciare. Il versetto «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito» è una dichiarazione radicale sull’amore divino. Simone Weil, filosofa mistica del XX secolo, scrive: “L’amore è attenzione pura alla realtà dell’altro.” Dio non impone, non condanna, ma si dona. L’amore divino è kenosis, svuotamento, come descritto anche da San Paolo (Fil 2,7). È un amore che si fa vulnerabile per salvare. Infine, «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo» richiama la filosofia dialogica di Martin Buber. Nel suo capolavoro Io e Tu, Buber afferma: “L’uomo diventa Io solo nel rapporto con il Tu.” Gesù instaura un rapporto personale, non giudicante, con l’umanità. La salvezza non è un decreto, ma un incontro.
Questo Vangelo ci invita a riflettere sul mistero dell’amore che si dona, della verità che si rivela, e della salvezza che si offre senza coercizione. La filosofia, lungi dall’essere antagonista della fede, può diventare strumento per approfondire il significato. Come scrive Agostino: “Credo per comprendere, e comprendo per credere.”
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