La filosofia: strumento di comprensione dei continui passaggi dal bios al logos

Mario prof. Castellana Luglio 08, 2025 771

 Molto spesso, in un mondo dominato da tecnologie sempre più sofisticate che vanno al di là delle nostre  capacità da far sembrare le loro logiche opache agli stessi operatori col creare l’effetto del cosiddetto black-box nel prendere determinate decisioni, ritorna in più sedi e da parte di menti che cercano di capire dove si sta andando l’esigenza di interrogarsi su tale stato di cose; e fare filosofia  diventa, pertanto, quasi necessario ma tale operazione non va concepita, come spesso succede in certi ambienti, come un dorato rifugio in un vago e presunto spirito di interiorità o in un moralismo di facciata. Segue, poi, nel prenderla come punto di riferimento la problematica cosa sia essa filosofia, domanda strategica che l’ha attraversata sin da quando ha preso piede e con essa coloro che la praticano e la insegnano. Per averne una idea, basterebbe guardare un po' alle sue origini quando i  maestri Greci, che hanno dato inizio al pensiero filosofico-scientifico anche nelle nostre terre del Sud a partire da Elea per arrivare a Taranto, Metaponto, Crotone e Siracusa fatto che spesso si dimentica, volevano indicare la specificità dell’essere umano caratterizzato  da un particolare percorso che va dal bios al logos, cioè dalla sua capacità di tradurre in pensiero le diverse esperienze di vita; e questo si spiega per il suo sforzo continuo di andare al di là delle apparenze del reale per coglierne un elemento più profondo e quindi più stabile.

 La stessa idea aristotelica di uomo come ‘animale razionale’ sta a significare proprio il fatto che come ogni essere vivente  è in grado di trarre adeguate informazioni dall’ambiente in cui si trova immerso  e di tramutarle in punti di riferimento per meglio operare nei vari contesti; tale cruciale aspetto, che poi è alla base della tecnica e dei prodotti tecnologici, è stato particolarmente tenuto presente  nei suoi diversi lavori da una figura poco nota del panorama culturale italiano della seconda metà del ‘900, l’ingegnere-epistemologo  Valerio Tonini (1901-1992), figura che ci ha dato, proprio in virtù della presa in conto di tale problematica, una concreta testimonianza di un percorso di pensiero e di vera e propria metodologia della complessità quando era ancora sostenuto da pochi. Ma a differenza degli altri esseri viventi, per l’uomo questo processo del continuo passaggio dal bios al logos non ha mai fine, si arricchisce sempre di nuovi orizzonti cognitivi e soprattutto di senso in quanto, nello scandagliare sempre di più il reale che lo circonda, ne scopre in primis un aspetto essenziale, cioè la sua inesauribilità ed il fatto che comunque costituisce uno scoglio duro, un limite con cui sempre è costretto a  confrontarsi.

 Se in un primo momento del suo diventare ‘razionale’ è dominato dalla aristotelica ‘meraviglia’ verso il reale che è già un non secondario passaggio dal bios al logos dopo diversi tentativi  a partire da quello dell’invenzione dei miti, questa condizione di fondo lo porta in un secondo momento ad interrogarsi sul perché delle cose, prerogativa tipicamente umana che si manifesta nel dare ad esse una pluralità di risposte e di descrizioni a volte contraddittorie fra di loro. Ecco perché Robert Musil nel cercare di cogliere la specificità dell’uomo in L’uomo senza qualità, dirà che esso è “l’unico essere vivente che pensa le alternative” sino a produrre insieme “Bibbie e cannoni”; fa l’esperienza della morte, ad esempio, e pensa l’immortalità e nel prendere atto della sua limitatezza strutturale crea l’idea di infinito. Lo scontro col reale  porta l’uomo alla continua creazione, nel senso greco del termine e cioè poiesis, dell’idea di esso che si manifesta in vari modi dal mito alla religione, dall’arte alla scienza, dalla tecnica  alla stessa filosofia; quest’ultima, sviluppatasi non a caso più tardi,  ha il compito specifico di chiarire e individuare tali continui processi del passaggio dal bios al logos e di come ogni ambito del pensiero umano lo abbia messo in atto ed interpretato secondo specifiche modalità.

 Ma ciò che caratterizza ancora di più tale processo è il fatto che ad ogni tappa raggiunta viene a formarsi e consolidarsi una determinata stabilità insieme concettuale ed esistenziale; non a caso la parola saf di origine sanscrita sta a significare ‘certo’, ‘stabile’, donde il termine greco sofia inteso come saggezza  che è frutto delle esperienze acquisite ed organizzate secondo un certo ordine sino ad assumere un significato ben preciso nella vita dell’uomo.  Come tale si poggia su fondamenti certi che la filo-sofia, amore per essa sofia e quindi ricerca del senso delle sue verità, poi deve verificarne la fondatezza; in tale percorso i Greci, facendo loro le diverse sofie dei popoli del Mediterraneo e fra queste le importanti acquisizioni in campo matematico degli Egiziani e non solo, si sono particolarmente distinti. In un primo momento, pur essendo essi stessi formidabili creatori di miti sorti per dare delle risposte ai grandi perché come quello dell’origine dell’umanità alla base del mito di Prometeo, si sono limitati a laicizzare, se così si può dire, le conoscenze degli altri popoli discutendole e argomentandole in maniera più critica; ma nello stesso tempo, nel fare questa non facile operazione, hanno reso possibile in maniera particolare la scienza come impresa cognitiva a partire dalle matematiche con l’introduzione di innovative procedure dimostrative fondate esclusivamente sul logos e le sue leggi, poi ritenute imprescindibili per ogni tipo di impresa umana che voglia aspirare alla conoscenza  ritenuta affidabile se viene fondata su principi stabili e certi.

 Non a caso Platone dirà nel Fedone che la filosofia è nata per dar conto di questa particolare forma di stabilità raggiunta in campo matematico; e ancora nel creare il primo capitolo ritenuto fondamentale per ogni impresa filosofica e cioè la gnoseologia o teoria della conoscenza, utilizza il termine episteme  ( epi-staino, stare sopra), come sinonimo di conoscenza certa, stabile come era concepita la scienza matematica la cui stabilità non è data o garantita da qualche ente esterno, ma trova  basi e fondamenta nella ragione stessa, nel logos stesso e nelle sue procedure dimostrative. Per questo il termine Logos diventerà sinonimo di verità universale, ritenuto allora perfetto sino ad incarnarsi anche nell’arte, raggiunto fra le ragioni del reale  e le esigenze della ragione stessa che è tale nella misura in cui è in grado di appropriarsi in maniera adeguata delle verità nascoste nelle sue rugosità; non sarà dunque un caso se poi quasi tutte le discipline a partire da quelle scientifiche  inseriranno il suffisso ‘logia’ nel loro costituirsi come tali.

 Del resto l’immagine stessa dell’episteme,  in quanto frutto quindi della continua tensione tra bios e logos, può essere accostata, come ci ha  suggerito Michel Serres nei suoi innumerevoli scritti sulle origini della conoscenza  indagata in maniera comparata con la storia dei miti e delle religioni, all’immagine del cippo funerario con la sua doppia postura chiaroscurale, quella che sta sotto invisibile ed integrale e la fonda e quella parziale che emerge in modo chiaro e si evolve in maniera lineare; se poi nella sua storia l’uomo ha fatto di quest’ultima il vessillo di un certo  modo di essere e pensare assolutizzandola e semplificandola, non per questo va tralasciata l’ossatura di fondo che non si lascia circoscrivere dentro limiti prefissati e lancia segnali ed indizi bisognosi di ben altri continenti concettuali da inventare per arricchirla di ulteriori significati. La storia della conoscenza sin dai suoi albori vive questa strutturale interferenza e relazione, dove il rito del seppellire, del proteggere e del tenere nell’ombra e nello stesso tempo il gesto del fare venire alla luce con le sue tecniche di svelamento non devono essere visti in modo antitetico ma in modo tale che l’uno implichi l’altro; pur essendo due strategie cognitivo-esistenziali diverse, non vanno separate ma rese il più possibile complementari per dare conto con strumenti sempre più appropriati della poliedricità del reale, che è sempre ‘silente’, come diceva Leonardo Da Vinci, ma sempre pronto a mostrare le sue peculiarità come testimone concreto delle continue poste in gioco del rapporto tra bios e logos.

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