L’intelligenza artificiale tra paure, entusiasmi e visioni distopiche

Serafino Scalera Aprile 25, 2025 602

Nel dibattito contemporaneo sull’intelligenza artificiale, spesso si rincorrono paure, entusiasmi e visioni distopiche. In questa complessa costellazione di opinioni, il pensiero del filosofo Maurizio Ferraris si distingue per chiarezza, profondità e senso storico. La sua prospettiva, fondata su un realismo lucido, mette al centro l’umano e il suo rapporto con la tecnica, rovesciando molte delle narrazioni più diffuse. Alla base del discorso di Ferraris c’è una distinzione fondamentale: quella tra intelligenza e pensiero, che vengono viste come parole reciprocamente sostituibili, pur nella differenza. Egli sottolinea che l’intelligenza umana, che consideriamo “naturale”, che distinguiamo dall'intelligenza “artificiale”, si sviluppa e si arricchisce attraverso processi di apprendimento e acquisizione di conoscenze che sono molto simili a quelli delle macchine che usano il machine learning. Per esempio, fin da bambini, impariamo a parlare, leggere, scrivere, usare i numeri e interagire con il mondo. Questo processo di apprendimento avviene senza che ci venga insegnata esplicitamente ogni singola regola: piuttosto, assorbiamo informazioni, modelli e schemi attraverso l’esperienza, l’osservazione e l’interazione con l’ambiente. È un processo continuo, che si può paragonare a un “allenamento” automatico e adattivo, tipico del machine learning, dove i sistemi apprendono dai dati e migliorano le proprie prestazioni nel tempo. Ferraris evidenzia che questa intelligenza “artificiale” insita in noi non è parte integrante della nostra stessa capacità di apprendere e adattarci. La cultura, l’educazione, le esperienze di vita sono i “software” che ci permettono di sviluppare capacità cognitive, emotive e sociali. In questo senso, la nostra intelligenza naturale è già “costruita” e “potenziata” da un processo di apprendimento che, se vogliamo, può essere visto come una forma di intelligenza “artificiale biologica”.

Tuttavia, l’intelligenza umana non è riducibile a una serie di calcoli o competenze. Il pensiero, secondo Ferraris, nasce da un corpo, da un appetito, da una volontà; è in tal modo le vie dell’artificiale e del naturale si differenziano. Le macchine non hanno fame, né desideri, né età, né relazioni sociali. Non prendono decisioni perché non hanno un “sé” che può soffrire o gioire in base alle conseguenze. In questo senso, la distinzione tra intelligenza e pensiero non è fondata sull’originalità della produzione, ma sulla volontà di produrre, che nasce da bisogni vissuti in un’esistenza unica e irripetibile. L'intelligenza artificiale non è in grado di creare qualcosa di originale, perché la creazione di un'opera nasce nell'individualità dell'operante. L'operante non si mette all'opera per essere originale, ma in virtù di un'esigenza esistenziale. La macchina può imitare, ma non è in grado di produrre un enunciato. L’intelligenza artificiale può fornire risposte, ma l’originalità del pensiero umano consiste non solo nel  risolvere problemi, ma nel porre interrogativi che nascono da un’esperienza personale. Come sosteneva Søren Kierkegaard, ogni pensiero umano comporta una scelta, alla cui base c'è una volontà e per Ferrarisi ci sono tante menti pensanti quano sono gli esseri umani. Non vi può quindi essere un pensiero unico universale perché ogni persona, con le sue esperienze, emozioni e prospettive, contribuisce, con il proprio modo di pensare, alla ricchezza del mondo e che questa volontà umana di problematizzare, di mettere in discussione la realtà, è alla base del progresso umano e scientifico. È il desiderio di capire, di esplorare, di migliorare e di innovare che spinge gli esseri umani a formulare domande, a mettere in discussione le certezze e a cercare risposte sempre più profonde e articolate. Le macchine, per quanto avanzate, non possiedono questa capacità intrinseca di interrogarsi, di mettere in discussione il proprio funzionamento o di cercare significati oltre le risposte immediate. È questa volontà di problematizzare, di chiedersi “perché” e “come”, che rende il pensiero umano un motore inesauribile di progresso e di evoluzione culturale e scientifica. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, Ferraris non è un ottimista tecnologico. Dice con chiarezza che il rapporto tecnologia-esistenza umana dipende dall'operato della persona. Mi permetto di dire che le responsabilità sono tante e diffuse nelle varie istituzioni educative. La svolta non sta nel divieto e nel demonizzare la tecnologia, ma nel riuscire a capire che bisogna portare avanti dei processi pedagogici e da questo punto di vista siamo molto indietro. Si spazia da un disinteresse da parte delle famiglie a divieti incomprensibili e privi di fondamento didattico, gnoseologico e pedagogico da parte di alcune scuole. A tal proposito riporto la testimonianza del grande filofoso Socrate, da tutti, giustamente, osannato come uno dei padri della cultura occidentale. Bene, Socrate non ha mai scritto niente, il suo pensiero ci è stato trasmesso per mezzo della prima parte dell'opera filosofica di Platone, suo grande allievo. Ma perchè Socrate non ha mai scritto niente? Semplicemente perché era contro la scrittura, che era la tecnologia dell'epoca. Socrate era convinto che la cultura, il sapere, dovevano essere trasmessi oralmente, altrimenti si sarebbe danneggiata in modo irreversibile la memoria dell'uomo. Tuttavia, Socrate si sbagliava, la scrittura ha contribuito allo sviluppo sociale, culturale, scientifico e tecnologico dell'uomo, eppure persone smemorate non se ne vedono in giro. Lo stesso vale per la tecnologia attuale, non bisogna demonizzarla o vietarla.  La tecnica, infatti, è ciò che ha reso possibile la sopravvivenza di oltre otto miliardi di persone. È anche la base della cultura. L’umano, per Ferraris, è nato debole, inadatto all’ambiente, ma capace di adattarsi e potenziarsi con gli strumenti. La tecnica ci ha trasformato in predatori, ma ha anche cercato di civilizzarci, rendendoci più sensibili ai bisogni altrui. Da qui nasce il concetto di Webfare, una delle idee più originali di Ferraris. Ogni interazione con l'intelligenza artificiale, ogni domanda posta, genera valore: aumenta il capitale di dati, valorizza la conoscenza umana, spesso dispersa e inutilizzata. Ma se siamo noi a produrre questo valore, allora dobbiamo anche beneficiarne. È un valore che appartiene all'umanità che non deve essere nelle sole mani di pochi giganti tecnologici o nelle mani di Stati che attuano un controllo sul modello del “Grande Fratello”, ma condiviso da tutti. Come i comuni medievali, che inventarono nuovi modelli di cooperazione per sottrarsi al potere feudale, oggi possiamo creare nuovi strumenti per valorizzare i nostri dati in modo equo.

Ferraris chiude con una riflessione fondamentale sulle distopie. Le macchine non desiderano il potere, non possono dominare perchè non hanno una volontà.  Le macchine rispondono ai nostri bisogni, non ne hanno di propri. In un tempo in cui l’intelligenza artificiale solleva interrogativi radicali, Maurizio Ferraris ci offre una bussola filosofica e concreta. Non si tratta di scegliere tra l’uomo e la macchina, ma di capire che cosa è davvero umano, e come vogliamo che il nostro sapere torni a noi: non come minaccia, ma come occasione.

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